Sardegna isola del Mediterraneo: 3. la civiltà sardo-fenicia

Qualunque sia l’origine del nome Sardegna e dei Sardi, è innegabile che la Sardegna, grazie alla sua posizione geografica, sia stata un importante centro di confluenze culturali di molti popoli mediterranei. La civiltà sarda è il risultato di questi incontri, anche se si sa ancora poco dei rapporti (iniziali) delle popolazioni nuragiche con i popoli «invasori» più antichi. Tuttavia, benché non si conosca (ancora) l’origine dei primi insediamenti, per esempio dei Fenici - una popolazione importantissima per l’evoluzione dei Sardi - sono ipotizzabili «fin dall'origine un rapporto pacifico e di scambio solidale tra i coloni fenici e la popolazione nuragica» (P. Bartoloni 2016) e sono intuibili, specialmente sulla base di reperti archeologici, almeno le principali attività economiche e commerciali dei Sardi in epoca nuragica.

La dominazione fenicia

Nave fenicia (Wikipedia)
Quando i Fenici approdarono in Sardegna (XI-X secolo a.C.), i Sardi vivevano ancora nella preistoria perché non conoscevano la scrittura, che scopriranno solo molto più tardi dopo la conquista romana nel 238 a.C. Ciononostante, entrando in contatto con l’«alta cultura» dei Fenici, i Sardi cominciarono ad aprirsi economicamente e culturalmente già nella preistoria. Secondo fonti per lo più greche, cominciarono anche a prendere coscienza del ruolo che la Sardegna poteva svolgere sulla scena del potere nel Mediterraneo (Claudio Adrario-Jösel, 1985), tanto più che l’isola offriva approdi sicuri (soprattutto Cagliari, Alghero, Olbia), il suolo si prestava ad alcune coltivazioni importanti (cereali) e alla pastorizia, il sottosuolo offriva miniere di rame, piombo, stagno.

Probabilmente, già nel secolo XI a.C. i Fenici frequentavano almeno saltuariamente le coste della Sardegna, ma dal IX secolo a.C. (secondo la più antica iscrizione di Nora) i Fenici vi ebbero insediamenti commerciali fissi, soprattutto lungo le coste meridionali, sud-occidentali (Nora, Karalis, Bithia, Sulki, ecc.), occidentali (Bosa, Cornus, Tharros) e anche sulla costa orientale. Grazie alla favorevole posizione lungo la costa e protetti da insenature e golfi sicuri, questi centri fenici si svilupparono per alcuni secoli dapprima sotto gli stessi Fenici e poi, specialmente dal VI secolo a.C. sotto i Cartaginesi o Punici (come li chiamavano i Romani) fino alla conquista romana della Sardegna nel 238 a.C.

La permanenza plurisecolare dei Fenici nell'isola sta a denotare non solo che gli insediamenti erano funzionali ai loro interessi commerciali, ma che i Fenici erano riusciti, dopo la conquista di ampie zone della Sardegna meridionale, anche a stabilire con la popolazione indigena una convivenza pacifica e una fruttuosa collaborazione, soprattutto nei secoli VIII e VII a.C. Secondo alcuni studiosi, la tradizione artigianale dei Fenici influenzò, per esempio, l’arte nuragica dei bronzetti, specialmente in alcune località del Sulcis, del golfo di Oristano, nell'area di Alghero, ecc.

Attività economiche sardo-fenicie

Secondo Fulvia Lo Schiavo, agli inizi del primo millennio a. C. comincia in Sardegna un periodo di grande sviluppo economico: «Agli albori del primo millennio, le regioni settentrionali dell'isola godono di un periodo di eccezionale floridezza. La situazione geografica, particolarmente propizia per la varietà dei paesaggi, consentiva lo sviluppo delle colture agricole e delle attività pastorali, mentre la ricchezza del sottosuolo offriva miniere di rame e di piombo argentifero in quantità e qualità non trascurabili. Inoltre la presenza di tre ottimi porti (Olbia, Porto Torres e Alghero), intercalati da altri piccoli approdi, compensava ampiamente la pericolosità del passaggio delle Bocche di Bonifacio: essa consentiva la proiezione all'esterno delle attività produttive, favorendo in modo particolare lo sviluppo di una economia di scambio sulle medie e sulle lunghe distanze».

Oltre all'agricoltura, alla pastorizia, a una certa attività estrattiva, alla produzione di oggetti in metallo, a sicure relazioni commerciali con altri popoli mediterranei, fu senz'altro rilevante una certa attività artistica, testimoniata dapprima dalla statuaria in pietra, rappresentata soprattutto dall'insieme scultoreo di Mont’e Prama e poi, nella fase più evoluta della civiltà nuragica (tra 900 e 500 a.C., coincidente in gran parte con quella delle invasioni dei Fenici e dei Punici) dalla fusione artistica del bronzo rappresentata dai famosi bronzetti sardi. Anche alcuni oggetti di uso quotidiano ritrovati in siti funerari sembrano fabbricati con l’uso del tornio e, dunque, con una tecnologia fenicia.

L'apertura della Sardegna



Bronzetti nuragici (Museo archeologico di Cagliari)
Il fatto che tra le centinaia di statuette bronzee ritrovate siano numerose le raffigurazioni di barchette o navicelle (modelli in scala di imbarcazioni) potrebbe indicare che i Sardi nuragici e post-nuragici possedessero grandi conoscenze del mare e della pratica della navigazione e intrattenessero relazioni commerciali con altri popoli. Non tutti gli storici, però, concordano. Per Ercole Contu, per esempio, «nonostante le numerose barchette votive nuragiche, non possiamo affermare che i Nuragici abbiano mai dominato il mare mentre questi popoli semitici [dapprima Fenici e poi Cartaginesi] non solo lo dominarono ma lo contesero anche ai Greci, agli Etruschi e ai Romani» (E. Contu 1974). Anche Carlo Cattaneo era convinto che il commercio si sviluppasse allora «dal mare all'isola, ma non seppe mai stendersi dall'isola a signoreggiare sui mari».

Nell'età del bronzo e del ferro, dal XIII-XII secolo e soprattutto dalla fine del IX secolo sino alla fine del VII secolo a.C., i Sardi svilupparono sicuramente molte capacità produttive e commerciali perché è certo che «i Nuragici avevano rapporti non casuali né sporadici con altri popoli mediterranei, per esempio con i Micenei» (Alberto Moravetti 2006) e scambiavano nel Mediterraneo l’ossidiana, oggetti in pietra, osso, piombo, ferro, rame, bronzo, ceramiche e prodotti agricoli.

E’ presumibile che la produzione e lo scambio di questi prodotti abbiano sollecitato anche in Sardegna «l’avvio di un processo di industrializzazione per lo sviluppo economico e il consenso alla politica di potere delle signorie nuragiche». Questa apertura, secondo il grande archeologo Giovanni Lilliu, era senz'altro il risultato dell’«incontro con culture, strutture produttive ed esperienze tecniche paleoetrusche, soprattutto affinate e mature nel settore estrattivo e metallurgico, poté venire incitamento e ammaestramento a imprenditori minerari nuragici, che si servivano di manovalanza servile, e ai calcheutòi per una più efficace e competitiva attività di produzione» (G. Lilliu 1999).

Gli insediamenti principali

Principali insediamenti fenici in Sardegna.

I segni più evidenti dell’intesa tra Fenici e Sardi sono tuttavia la fondazione o comunque lo sviluppo (nel caso di insediamenti preesistenti) di alcuni centri importanti, tra cui Tharros, Sulki, Nora, Karalis (Cagliari), Bosa, Cornus, Othoca (oggi Santa Giusta), Neapolis, Bithia, Sono inoltre probabilmente di origine fenicia anche Porto Torres (ribattezzato dai Romani Turris Libisonis), Sorso, Castelsardo, Olbia, Cala Gonone, Sarcapos, Villaputzu, Cuccureddus di Villasimius, ecc.

Il fatto che i principali insediamenti fenici e poi punici (cartaginesi) si trovassero nella parte meridionale, sud-occidentale (Sulcis-Iglesiente) e occidentale (Golfo di Oristano) della Sardegna starebbero a significare che i Fenici e poi i Cartaginesi fossero particolarmente interessati sia al controllo dell’attività agricola nelle fertili regioni del Sinis e del Campidano e sia allo sfruttamento minerario e al commercio dei metalli estratti, tutte operazioni, comunque, che non avrebbero potuto esserci se non con la collaborazione delle élites locali.

Dalla seconda metà dell’VIII secolo a.C. e fino alla metà del secolo successivo, la Sardegna era al centro dei traffici mediterranei da e per l’Occidente, costituiva una tappa importante specialmente lungo l’asse tra il Nord Africa e i centri costieri dell’Etruria e fungeva verosimilmente da centro di raccolta, stoccaggio e distribuzione di svariati prodotti per diversi circuiti commerciali (cfr. S. Moscati 1997). Grazie ai Fenici i prodotti sardi, compresi i prodotti d’artigianato popolare (vasi, figure di terracotta, oggetti votivi, ceramiche varie) e colto (ceramiche, terrecotte figurate, bronzetti, monete) furono diffusi in molte parti del Mediterraneo, da Cipro a Creta, da Corinto a Cadice.

La civiltà sardo-fenicia

Per Massimo Botto, il rinvenimento nella Spagna meridionale di numerose ceramiche di tradizione nuragica «impone una riflessione sui tempi e sui modi che portarono marinai e artigiani sardi a operare sul suolo iberico» (M. Botto 2015). Tuttavia, il dubbio non avrebbe ragion d’essere se si tenesse presente che le navicelle di bronzo erano probabilmente l’espressione di un popolo «sardo-fenicio» e di una civiltà «sardo-fenicia», derivanti da un lungo processo d’integrazione etnica (matrimoni misti), culturale (convivenza pacifica) e industriale-commerciale tra Nuragici e Fenici.

L’eredità fenicia è stata sicuramente grande, tanto da far ritenere a Luca Meldolesi che «dobbiamo riconoscere, apertis verbis, che è esistente – soprattutto nella Sicilia occidentale e in Sardegna – un’Italia fenicia e che essa rappresenta un lascito prezioso, un legame storico chiave, un punto di partenza empatico di grande valore per abbassare barriere millenarie e proporre [139/140]una logica federalista-democratica all’intera area euro-mediterranea» (L. Meldolesi 2013). (Segue)

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