Sardegna isola del Mediterraneo: 4. la civiltà sardo-punica

Attorno alla metà del VI secolo, la situazione in Sardegna mutò rapidamente. Infatti la città fenicia nordafricana di Cartagine, fortemente interessata al possesso della Sardegna in un’ottica di conquista del Mediterraneo occidentale e attratta dalle notevoli risorse agricole dell’isola, decise di impadronirsene. Dopo aver già conquistato la Sicilia, con due successive invasioni nel 540 e nel 520 a.C. Cartagine riuscì a impadronirsi anche della Sardegna, anche se, almeno inizialmente, non sembra che fosse interessata alla conquista dell’intera isola. Il suo principale interesse era probabilmente lo sfruttamento delle risorse agricole e minerarie delle regioni meridionali e la disponibilità di approdi sicuri lungo le cose per agevolare il commercio nel Mediterraneo delle proprie navi.

La conquista punica della Sardegna

E’ certo, infatti, che i Punici volevano garantirsi il pieno controllo del mare per il dominio nel Mediterraneo occidentale e il «controllo attento e capillare del Sulcis, regione che costituisce la più usuale e facile via d’accesso alle contrade minerarie dell'Iglesiente» (Moscati 1997). Di fatto questa conquista pose fine non solo alla civiltà nuragica in senso proprio, ma anche a un sogno che sembrava potersi realizzare, quello dell’unità «nazionale» dei Sardi nuragici, ormai Sardo-libici, concentrati negli antichi insediamenti fenici e nel centro montano della Sardegna (cfr. Moscati 1997, Tusa 1974, Lilliu 1983).

Pertanto, non è dato sapere con certezza perché la conquista punica non si spinse subito anche nelle zone centrali dell’isola, ma sia avvenuta lentamente. E’ anche probabile che non osassero avventurarsi nell'interno dell’isola, allora dominata da popolazioni ostili, i Barbaricini. Sembra tuttavia, in base a studi compiuti sulle monete puniche, che nel IV-III secolo a.C. tutta la Sardegna fosse sotto il controllo punico (cfr. Tusa 1974, Turtas 2005, Bartolini 2009).

I Cartaginesi dovevano annettere una grandissima importanza al possesso della Sardegna se tentarono di assimilarla al territorio metropolitano di Cartagine, vi inviarono «un notevole numero di funzionari, necessari all'amministrazione del territorio, e di indigeni berberi nord-africani punicizzati, destinati alla coltivazione intensiva dei cereali» (Bartoloni 2016).

La colonizzarono punica fu comunque lenta ma efficace, sia attraverso una «penetrazione capillare operata dai coloni inviati da Cartagine in Sardegna, penetrazione che doveva inevitabilmente favorire le unioni miste» e sia attraverso la «fusione tra la civiltà di Cartagine e quella protosarda, che nel secolo III a.C. aveva raggiunto un livello tale che oggi noi, parlando degli aspetti della vita in Sardegna durante quel secolo, dobbiamo parlare di civiltà sardo-punica» (Barreca 1979).

Fortificazioni tra Padria e Bolotana

Particolare di una carta della Sardegna del 1658 (BL)
Una volta conquistata gran parte dell’isola, i Cartaginesi dovettero lottare a lungo per proteggere gli insediamenti e le vie di comunicazione. Vennero pertanto fortificati tutti i principali insediamenti: Karalis, Nora, Bithia, Sulki, Tharros, Portoscuso, Cornus, Bosa, Turris Libyssonis, Olbia, Calagone (Dorgali), ecc. La loro penetrazione all’interno dell’isola interessò quasi sicuramente Padria, Pozzomaggiore, San Simeone (territorio di Bonorva), Mularza Noa e Badde Salighes (territorio di Bolotana), Sagama, Macomer (Macopsisa), Cuglieri, Scano Montiferru, Padria, Abbasanta, Nurallao, Nuragus, Isili, Mogoro, Barumini, Gergei, Nurri, ecc. Alcune località, per es. Monte Sirai (Carbonia), Furtei, Macomer, Padria, Montresta, Mularza Noa, ecc. erano anch’esse fortificate perché dovevano controllare verosimilmente importanti vie di comunicazione[1].

Questo spiegherebbe l’erezione all’interno dell’isola di importanti fortificazioni lungo la linea Padria-Bolotana, che il Lilliu e il Barreca fanno risalire al V secolo. Si tratta in particolare «delle fortificazioni di Padria, di S. Simeone di Bonorva e di Mularza Noa di Badde Salighes (Bolotana), costituenti insieme a Macomer un sistema fortificato per il controllo della Campeda contro le scorrerie delle genti delle Barbagie. Questo dispositivo sembra difficilmente conciliabile con l'ipotesi che sulla costa nord esistessero degli insediamenti fenicio-punici isolati, con un vasto hinterland più o meno ostile e comunicanti con i grandi centri del Sud quasi esclusivamente via mare» (F. Lo Schiavo 1987).

La penetrazione punica in Sardegna si era talmente estesa e affermata che nel 509 a.C. la potenza emergente di Roma dovette riconoscere il dominio cartaginese sull'isola e nel 348 a.C. accettare che un nuovo trattato con Cartagine vietasse ai Romani persino di approdare in Sardegna. Il dominio cartaginese non durò però ancora a lungo perché nel 238 a.C. Cartagine dovette cedere la Sardegna ai Romani, anche se i rapporti con la Sardegna e in particolare con gli esponenti della nobiltà dei centri sardo-punici continuarono ancora a lungo.

Nel 509 a.C. la potenza emergente di Roma dovette riconoscere il dominio cartaginese sull'isola e nel 348 a.C. accettare che un nuovo trattato con Cartagine vietasse ai Romani persino di approdare in Sardegna. Il dominio cartaginese non durò però ancora a lungo perché nel 238 a.C. Cartagine dovette cedere la Sardegna ai Romani, anche se i rapporti con la Sardegna e in particolare con gli esponenti della nobiltà dei centri sardo-punici continuarono ancora a lungo.

Conseguenze del dominio punico: la «punicità sarda»

Il dominio cartaginese ebbe conseguenze importanti per la Sardegna, non solo economiche (agricoltura, sfruttamento delle miniere, arresto dell’importante flusso di commerci tra le città fenicie della Sardegna e l’Etruria), ma anche organizzative, culturali e sociali (perché i Punici delle colonie tenderanno a diffondersi nelle regioni interne dell’isola economicamente più favorite, dove verranno indirizzati anche nuovi flussi di popolazioni provenienti dal Nord Africa), favorendo modelli di aggregazione sociale e culturale tipicamente cartaginese e «destinati a divenire parte integrante della punicità sarda» (Brigaglia 1981, S. Moscati 1997).

Secondo Francesco Corridore, «sotto il loro non breve dominio la Sardegna godette della più grande prosperità commerciale, agricola e anche industriale». A beneficiarne furono soprattutto i Cartaginesi, che ebbero, per esempio, nell'isola «un ricco granaio», ma anche gli indigeni nei territori occupati. «Alla vigilia del suo passaggio alla signoria dei Romani, l’Isola era ragguardevole per il numero degli abitanti e per le varie produzioni» (Corridore 1900).

Secondo Ferruccio Barreca, «la civiltà di Cartagine penetrava fra i Sardi non solo con i coloni semitici o semitizzati permanentemente residenti fra loro, ma anche con i mercanti punici che approdavano alle coste e percorrevano le strade dell'interno, strade che saggiamente Cartagine si preoccupò di rendere numerose ed efficienti. Generalmente, si trattava di vie simili alle coeve strade greche, cioè a fondo naturale, che sfruttavano il suolo roccioso e solamente in caso di necessità lo integravano con modeste opere artificiali di terrazzamento o sottofondo, coperto da un semplice acciottolato superficiale» (Barreca 1979).

I Punici ebbero un influsso determinante su tutta l'organizzazione sociale della popolazione sardo-punica. Infatti, secondo Raimondo Zucca,«i cittadini cartaginesi costituivano le élites delle città, sia di quelle di antica origine fenicia come KaralesNoraBithiaSulciOthocaTharros, sia di quelle di nuova fondazione punica come NeapolisCornusOlbia, che nel corso dei tre secoli di dominazione cartaginese si dimostrarono poderosi centri commerciali, aperti ai traffici mediterranei, sia prima sia dopo l’attivazione anche in Sardegna di un’economia monetale, a partire da circa il 350 a.C., con l’introduzione delle emissioni di Cartagine e della Sicilia punica in oro, elettro e bronzo» (Zucca 2006).

L'influsso dei Punici sulla Sardegna fu molto profondo, tanto è vero che, secondo Vincenzo Tusa, «la cultura punica continuò ancora in età imperiale specie nel campo della religione» e «tenne desta per qualche tempo nell'animo degli isolani una notevole ostilità nei riguardi dei Romani ritenuti aggressori più dei Punici e si mantenne culturalmente vitale fin verso il II-III sec. d.C.» (Tusa 1974). (Segue)



[1]     La postazione fortificata di Mularza Noa, scoperta nel 1976, doveva controllare presumibilmente un’antica strada che congiungeva l’altopiano di Campeda con la Valle del Tirso (cfr. Barreca 1979 e altri) e passava non lontano dalle località di Badde Salighes e Padru Mannu, in territorio di Bolotana (cfr. Mastino 2009). Per coincidenza o per calcolo, nelle vicinanze di questo antico insediamento, sul finire dell’Ottocento, l’ingegnere e imprenditore inglese Benjamin Piercy, realizzatore della rete ferroviaria sarda, fece costruire una splendida villa padronale sistemata in un rigoglioso parco in stile inglese, e avviò un’innovativa azienda agricola, un’importante azienda zootecnica e un moderno caseificio allora all’avanguardia con macchinari inglesi per la sterilizzazione dei prodotti. Gli insediamenti di Badde ‘e Salighes e Padru Mannu, di sua proprietà, si estendevano per oltre tremila ettari e davano lavoro ad alcune decine di famiglie (alloggiate in una trentina di casette). Non è dato sapere con certezza perché B. Piercy abbia voluto acquistare per le sue aziende quei terreni montani (800-1000 m. di altitudine), ma potrebbe aver influito nella decisione, oltre alla disponibilità dei terreni, la vicinanza alla stazione ferroviaria di Campeda e la possibilità di riutilizzare almeno in parte il tracciato dell’antica strada punico-romana. I prodotti aziendali venivano così trasportati velocemente alla stazione di Campeda, dove venivano caricati su treni diretti a Cagliari per la vendita. Purtroppo le aziende Piercy chiusero i battenti negli anni Cinquanta. Dall’abbandono totale fu salvata solo una piccola chiesetta in stile neogotico, che serviva per la piccola comunità. Cfr. Barreca 1979, Acquaro 1986, Moscati 1997).

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