Sardegna isola del Mediterraneo: 5. dominazione romana
La trasformazione della Sardegna proseguì lentamente sotto la dominazione romana. Essa fu lunga e difficile, almeno fino all'età cristiana, perché i Romani, dopo aver conquistato facilmente la Romània, ossia la parte meridionale dell’isola (Campidano e la parte colonizzata dai Fenici e dai Punici), impiegarono anni prima di riuscire a sottomettere anche la regione centrale (o una sua parte), la Barbaria, difesa strenuamente dai Sardi. In epoca cristiana si cominciò a vederne i frutti nell'economia, nelle comunicazioni, nella società.
Conquista romana della Sardegna
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| Carta nautica del 1552 (ZBZ) e centralità della Sardegna nel Mediterraneo occidentale |
Da quel momento cominciò la romanizzazione della Sardegna, ma non fu per nulla facile. Infatti, secondo una ricostruzione di Carlo Cattaneo (ispirato sicuramente dalle narrazioni degli antichi storici
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| Amsicora, mitico eroe sardo-punico anti-romano |
I rapporti tra Sardi e
Romani rimarranno conflittuali ancora a lungo, ma nel 238
a.C., quando i Romani presero possesso delle città e delle piazzeforti
sardo-puniche la «romanizzazione» era già cominciata (Paolo Maninchedda 2012), e
«l’antica nazionalità dei Sardi
era già annodata dalla forza delle armi alla vasta associazione dell'imperio
romano, ch'è quanto dire della civiltà europea» (Carlo Cattaneo 1996).
Effetti della romanizzazione
Secondo C. Cattaneo, la Sardegna, divenuta
«quasi una possessione del Commune di Roma, il quale ne traeva sotto vari nomi
larga rendita di grani e bestiame», non fu tuttavia abbandonata, anzi beneficiò
a lungo di cure. Oltre a sfruttare e sviluppare gran parte delle infrastrutture
e degli insediamenti creati dai dominatori precedenti, i Romani crearono nuove
infrastrutture, costruirono nuove strade (tra
Cagliari e Porto Torres e Olbia), ponti, acquedotti, terme, templi, teatri,
ecc. In epoca punica,
Tharros e Karalis erano già collegate da una strada costiera occidentale, che
passava per Nora, Bithia e Sulki e arrivava a Turris Libisonis (Porto
Torres). I Romani privilegiarono un altro asse viario principale che collegava
direttamente Cagliari a Porto Torres passando per Fordongianus (Forum
Traiani), che divenne, per la sua posizione geografica tra i monti della
valle del Tirso, un importante centro militare fortificato e, per le sue acque
termali, un grande centro commerciale.
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| S. Gregorio Magno (540-604) |
Sotto i Romani si diffusero anche in Sardegna
la lingua latina (che costituirà in seguito
un importante sostrato unificante ai vari dialetti sardi e soprattutto alle
varietà logudorese e campidanese) e il cristianesimo (specialmente dopo
le persecuzioni di Diocleziano e il martirio di Proto, Gianuario, Gavino e
Efisio, ai quali furono dedicate importanti chiese in stile romanico).
Bilanci secondo Cattaneo e Contu
Della dominazione romana Carlo Cattaneo ha stilato questo bilancio positivo: [Prima che Roma volgesse alla sua fine] «l'agricoltura sarda ebbe prosperi giorni, e pare che la popolazione fosse a più doppii maggiore che non sia mai stata di poi. I geografi raccolsero i nomi di cinquanta ch'essi chiamano città, molte delle quali anche nelle parti più interne; ed erano congiunte fra loro con suntuose vie, di cui rimangono le vestigia in territori che d'allora in poi non ebbero più strade; tanta era quella romana civiltà, ora troppo vilipesa da chi troppo la ignora. Per questo mezzo, e pei molti porti marittimi, dovevano allora le regioni interne della Sardegna partecipare al libero commercio, che spaziando per l'immenso imperio si stendeva sino alla Persia. Su quelle rapide vie, in quel traffico senza confini, le disparate lingue dell'occidente si andarono quasi tutte tramutando in dialetti d'una sola. La Sardegna aveva due città che si reggevano con privilegio municipale, e pare che i Romani vi fondassero due sole colonie. Perloché le tribù indigene, ravvicinate fra loro e col mondo, appresero bensì le voci della
lingua universale di quei tempi, ma non pare // che venissero sbarbicate dalle loro antiche terre. Ad ogni modo non poteva, come i disprezzatori del nome romano vanno dicendo, essere tanto dura ed abietta la vita d'un popolo che poté allora, allora soltanto e non più mai, ornare l'isola sua di ponti, di templi, di teatri, di bagni e di celebrati aquedutti, l'uno dei quali giungeva a Càlari fin dai colli di Siliqua, per un intervallo di forse trentamila metri. Fra quella pace e quell'abbondanza e quella provvida grandezza si svolgeva la giurisprudenza romana, che scoperse e dettò, a beneficio perpetuo di tutte le nazioni civili, i due fondamentali ordini della famiglia e della proprietà…» (C. Cattaneo 1996).
I giudizi sulla convivenza tra Romani e Sardi non sono però tutti
positivi. Per esempio, secondo l’archeologo e storico Ercole Contu, nonostante i molteplici influssi dei
Romani, la convivenza con i Sardi è sempre rimasta conflittuale: «Anche in questo campo non poteva esservi
fusione ma solo rivoluzione totale: perciò il tramonto [della civiltà nuragica]
fu rapido ed il destino inesorabile. Poco importa del resto se i Sardi di
origine nuragica continuarono nelle zone del centro ad adorare, per esempio,
pietre ed alberi, come ci testimonia S. Gregorio Magno ancora per la sua epoca
(VI sec. d.C.), o mantenessero anche un loro codice sociale e morale (non
ancora del tutto scomparso!): essi come entità politica ed economica di rilievo
erano ormai definitivamente scomparsi. E se in seguito qualcuno, come l'eroico
sardo punicizzato Ampsicora, tentò, d'accordo con i vecchi nemici, di
imporsi ai Romani (215 a.C.) il suo tentativo fu stroncato sanguinosamente» (E.
Contu, 1974).
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