Sardegna isola del Mediterraneo: 5. dominazione romana

La trasformazione della Sardegna proseguì lentamente sotto la dominazione romana. Essa fu lunga e difficile, almeno fino all'età cristiana, perché i Romani, dopo aver conquistato facilmente la Romània, ossia la parte meridionale dell’isola (Campidano e la parte colonizzata dai Fenici e dai Punici), impiegarono anni prima di riuscire a sottomettere anche la regione centrale (o una sua parte), la Barbaria, difesa strenuamente dai Sardi. In epoca cristiana si cominciò a vederne i frutti nell'economia, nelle comunicazioni, nella società.

Conquista romana della Sardegna

Carta nautica del 1552 (ZBZ) e centralità della Sardegna nel Mediterraneo occidentale
Forse è bene ricordare che la conquista della Sardegna fu una conseguenza della vittoria dei Romani sui Cartaginesi in lotta per il controllo del Mediterraneo. Secondo lo storico Paolo Maninchedda, l’occasione per la conquista della Sardegna si presentò nel 238 a.C. quando le truppe mercenarie di stanza nell'isola si ribellarono a Cartagine e chiesero l’aiuto dei Romani. L’intervento del console Tiberio Sempronio Gracco fu decisivo perché occupò tutte le città e piazzeforti sardo-puniche dell’isola.

Da quel momento cominciò la romanizzazione della Sardegna, ma non fu per nulla facile. Infatti, secondo una ricostruzione di Carlo Cattaneo (ispirato sicuramente dalle narrazioni degli antichi storici

Amsicora, mitico eroe sardo-punico anti-romano
Diodoro Siculo), Strabone, Tito Livio, Plinio il Vecchio e altri): «Nella seconda guerra punica i pastori [sardi], col soccorso dei Cartaginesi, ripresero le armi. Tornò allora in Sardegna [Tito Manlio Torquato …] e in una sanguinosa giornata uccise dodicimila Sardi, fra i quali il giovine loro principe Hiosto, il cui padre Amsicora dopo la battaglia si tolse da sé la vita. La montagna però non era doma, e le legioni dovevano vegliar sempre alla difesa delle mèssi su la conquistata pianura. [Trent'anni dopo] i Sardi corsero di nuovo alle armi. Allora vi si mandò [Tiberio Sempronio] Gracco il padre, il quale dopo due anni di guerra e due sanguinose vittorie, fece vendere schiavi tutti li uomini capaci di portare le armi; e tra le feste trionfali affisse nel tempio dell'Aurora una tavola votiva, ov'era effigiata la forma dell'isola per lui conquisa, con un'iscrizione che diceva morti o presi più di ottanta mila nemici…» (C. Cattaneo 1996).

I rapporti tra Sardi e Romani rimarranno conflittuali ancora a lungo, ma nel 238 a.C., quando i Romani presero possesso delle città e delle piazzeforti sardo-puniche la «romanizzazione» era già cominciata (Paolo Maninchedda 2012), e «l’antica nazionalità dei Sardi era già annodata dalla forza delle armi alla vasta associazione dell'imperio romano, ch'è quanto dire della civiltà europea» (Carlo Cattaneo 1996).

Effetti della romanizzazione

Secondo C. Cattaneo, la Sardegna, divenuta «quasi una possessione del Commune di Roma, il quale ne traeva sotto vari nomi larga rendita di grani e bestiame», non fu tuttavia abbandonata, anzi beneficiò a lungo di cure. Oltre a sfruttare e sviluppare gran parte delle infrastrutture e degli insediamenti creati dai dominatori precedenti, i Romani crearono nuove infrastrutture, costruirono nuove strade (tra Cagliari e Porto Torres e Olbia), ponti, acquedotti, terme, templi, teatri, ecc. In epoca punica, Tharros e Karalis erano già collegate da una strada costiera occidentale, che passava per Nora, Bithia e Sulki e arrivava a Turris Libisonis (Porto Torres). I Romani privilegiarono un altro asse viario principale che collegava direttamente Cagliari a Porto Torres passando per Fordongianus (Forum Traiani), che divenne, per la sua posizione geografica tra i monti della valle del Tirso, un importante centro militare fortificato e, per le sue acque termali, un grande centro commerciale.

S. Gregorio Magno (540-604)
L’economia sarda si sviluppò, poggiando tuttavia su basi fragili perché incentrata ancora sulla monocoltura cerealicola, che sfruttava molti schiavi, arricchiva i proprietari latifondisti (punici, romani e anche sardi), ma non dava vantaggi agli isolani; il commerciò non era in mano ai Sardi e i prodotti commerciati in esportazione (minerali, sale, grano, animali, prodotti agricoli, materiali da costruzione) e in importazione (olio, vino, vasellame, marmi, ecc.) non appartenevano generalmente ai Sardi. In generale, la vita dei Sardi, specialmente dei Barbaricini, era miserevole perché, secondo un'affermazione fatta da papa Gregorio Magno nel 593, vivevano male («come insensati animali»), adoravano idoli costruiti in pietra o in legno e morivano giovani (età media dei Sardi di allora: 37 anni gli uomini, 35 le donne; cfr. Manlio Brigaglia 2006).

Sotto i Romani si diffusero anche in Sardegna la lingua latina (che costituirà in seguito un importante sostrato unificante ai vari dialetti sardi e soprattutto alle varietà logudorese e campidanese) e il cristianesimo (specialmente dopo le persecuzioni di Diocleziano e il martirio di Proto, Gianuario, Gavino e Efisio, ai quali furono dedicate importanti chiese in stile romanico).

Bilanci secondo Cattaneo e Contu

Della dominazione romana Carlo Cattaneo ha stilato questo bilancio positivo: [Prima che Roma volgesse alla sua fine] «l'agricoltura sarda ebbe prosperi giorni, e pare che la popolazione fosse a più doppii maggiore che non sia mai stata di poi. I geografi raccolsero i nomi di cinquanta ch'essi chiamano città, molte delle quali anche nelle parti più interne; ed erano congiunte fra loro con suntuose vie, di cui rimangono le vestigia in territori che d'allora in poi non ebbero più strade; tanta era quella romana civiltà, ora troppo vilipesa da chi troppo la ignora. Per questo mezzo, e pei molti porti marittimi, dovevano allora le regioni interne della Sardegna partecipare al libero commercio, che spaziando per l'immenso imperio si stendeva sino alla Persia. Su quelle rapide vie, in quel traffico senza confini, le disparate lingue dell'occidente si andarono quasi tutte tramutando in dialetti d'una sola. La Sardegna aveva due città che si reggevano con privilegio municipale, e pare che i Romani vi fondassero due sole colonie. Perloché le tribù indigene, ravvicinate fra loro e col mondo, appresero bensì le voci della 
lingua universale di quei tempi, ma non pare // che venissero sbarbicate dalle loro antiche terre. Ad ogni modo non poteva, come i disprezzatori del nome romano vanno dicendo, essere tanto dura ed abietta la vita d'un popolo che poté allora, allora soltanto e non più mai, ornare l'isola sua di ponti, di templi, di teatri, di bagni e di celebrati aquedutti, l'uno dei quali giungeva a Càlari fin dai colli di Siliqua, per un intervallo di forse trentamila metri. Fra quella pace e quell'abbondanza e quella provvida grandezza si svolgeva la giurisprudenza romana, che scoperse e dettò, a beneficio perpetuo di tutte le nazioni civili, i due fondamentali ordini della famiglia e della proprietà…» (C. Cattaneo 1996).

I giudizi sulla convivenza tra Romani e Sardi non sono però tutti positivi. Per esempio, secondo l’archeologo e storico Ercole Contu, nonostante i molteplici influssi dei Romani, la convivenza con i Sardi è sempre rimasta conflittuale: «Anche in questo campo non poteva esservi fusione ma solo rivoluzione totale: perciò il tramonto [della civiltà nuragica] fu rapido ed il destino inesorabile. Poco importa del resto se i Sardi di origine nuragica continuarono nelle zone del centro ad adorare, per esempio, pietre ed alberi, come ci testimonia S. Gregorio Magno ancora per la sua epoca (VI sec. d.C.), o mantenessero anche un loro codice sociale e morale (non ancora del tutto scomparso!): essi come entità politica ed economica di rilievo erano ormai definitivamente scomparsi. E se in seguito qualcuno, come l'eroico sardo punicizzato Ampsicora, tentò, d'accordo con i vecchi nemici, di imporsi ai Romani (215 a.C.) il suo tentativo fu stroncato sanguinosamente» (E. Contu, 1974).

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